Il campo base in deserto

Il campo base in deserto

Quello che noi chiamavamo “il campo” era un insieme di roulotte , automezzi attrezzati e tende di vario tipo, cosi suddivisi: 3 roulotte dormitorio Sairauto,  ciascuna con otto posti letto con brande a castello, che ospitavano il personale espatriato. Altre due attrezzate da ufficio,  avevano anche 2 letti ciascuna, riservati ai responsabili del gruppo sismico e ad eventuali visitatori. In più c’erano una roulotte cucina ed una roulotte mensa, che veniva utilizzata anche per il tempo libero. Un grosso camion a trazione integrale era attrezzato come officina. Il campo veniva fornito di energia elettrica da due grossi gruppi elettrogeni,  montati su un pianale Ford ,che era piazzato sottovento ed abbastanza lontano dal campo, per attenuare il rumore. Una tenda molto spaziosa. serviva da magazzino viveri e per i ricambi per gli automezzi

Ad un centinaio di metri dal nostro campo c’era quello dei dipendenti marocchini, alloggiati in tende e  attrezzato con collegamenti idrici ed elettrici,  controllato da un capocampo locale. Contrariamente a quanto si pensi, l’acqua nel deserto era reperibile a profondità comprese fra i 50 ed i 100 metri, facilmente raggiungibili con le nostre perforatrici,  che potevano arrivare a 400 metri di profondità. Purtroppo quest’acqua attraversava strati di materiale gessoso ed era imbevibile. Veniva quindi utilizzata per lavarci, con docce all’aperto, e per lavare i panni, gli automezzi e per innaffiare e rinfrescare il campo. L’acqua potabile per il campo locali era trasportata  con autobotti dalle  oasi più vicine, con un minimo di 10 ore di viaggio. Per il nostro consumo arrivavano da Tan Tan bottiglie di acqua minerale locale.

In prossimità dei 2 campi erano venivano   perforati dei pozzi, che non raggiungevano la falda acquifera. Ampliati in profondità con piccole cariche di esplosivo ed attrezzati in superficie con un gabbiotto  di legno e collegati all’impianto idrico, diventavano dei gabinetti abbastanza comodi. Alle volte i fori praticati si riempivano e secondo la legge marocchina dovevano essere chiusi per impedire che i cammelli potessero ferirsi. Altri fori sostituivano i precedenti. Avevamo provato inizialmente una soluzione diversa, basata sull’uso dell’esplosivo, ma con risultati disastrosi. Smontato il baracchino di legno, venne inserita a fondo pozzo (nero) una cartuccia di esplosivo  per farlo crollare. Per impedire che i sassi, proiettati dall’esplosione, cadessero sulle roulotte, venne, sistemata sopra il buco una delle tapparelle  di acciaio che usavamo per agevolare il passaggio degli automezzi pesanti su zone di sabbia poco compattata o per disinsabbiarli. Savelli ed  io, dalle  finestrelle della roulotte ufficio in cui lavoravamo, seguivamo passo a passo tutti i preparativi dell’operazione. Quando tutto fu pronto, l’artificiere collegò l’esploditore e gridò forte, perché tutti lo sentissero,”Achtung minen” e spinse  la manopola di scoppio.. La tapparella che era sopra il buco, si piegò  a mo’ di freccia, salì verso il cielo e con una strana traiettoria ricadde esattamente a metà del tetto della nostra roulotte. Penetrò all’interno fino al pavimento, separando la roulotte  in due tronconi. In quello sinistro c’era Savelli,  in quello destro c’ero io, entrambi senza neppure un graffio. Tutti  accorsero pensando al peggio, poi tutto si risolse in una grande risata. Il responsabile della brillante idea venne obbligato a ricostruire la roulotte. Si valutò il danno e vennero ordinati  tutti i materiali occorrenti a Casablanca. Venti giorni più tardi, la roulotte si presentava integra come prima dell’incidente.

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