Intervista a Federico Vella

“DIECI DOMANDE A”:    INTERVISTA A FEDERICO VELLA

Scheda dell’Intervistato:
Nome:  Federico Vella (33 anni)
Attuale ruolo professionale:  Procurement Manager per Saipem (Gruppo Eni) in Angola Campione del mondo in carica di Kick boxing.
Hobbies:   Surf, Snowboard, Kite Surf, Calcio, Pallavolo e viaggiare.

1)      Dall’energia al mondo dello sport. Più difficile un campionato del mondo o il suo lavoro all’estero?

Sono due cose difficilmente comparabili. Ad ogni modo, ritengo più complesso vincere il campionato del mondo. Per raggiungere questo importante traguardo, dietro, c’è una vita accompagnata da diversi sacrifici, mentre un contratto estero è qualcosa di molto più limitato nel tempo. Oltretutto, la kick boxing, è una mia grande passione, mentre il lavoro rientra fra gli obiettivi di lungo periodo.

2)     Nello sport, come nella vita, quel che conta è l’onestà. Come si comporta quando sul ring incontra avversari rissosi e scorretti?

Devo ammettere che, mi è capitato raramente di incontrare avversari scorretti nei miei incontri. Si consideri che ho affrontato oltre cento match ufficiali. Esser “rissosi” può non essere un elemento negativo, poiché a volte rappresenta il “modo” di affrontare la competizione da parte dell’atleta. Per quanto riguarda quei pochi avversari scorretti che ho affrontato, li ho sconfitti non reagendo, mettendo però ancora più ardore agonistico durante la gara. Non nego che in quei casi, il sapore della vittoria era ancora più piacevole.

3)     Nel lavoro con i colleghi. Possono valere le stesse regole che su un ring?

Apparentemente, su un ring, ci sono regole chiare e, soprattutto, sei da solo. O almeno così sembra all’occhio del “pubblico”. In realtà dietro ogni gara c’è una profonda preparazione condivisa con allenatori, preparatori atletici, tutto lo staff con cui ti alleni ogni giorno. Gioco di squadra insomma. Vista in questo modo mi sento di dire che lavoro e ring possono essere accomunabili. Perché anche nel lavoro c’è bisogno di un bel team, che lavori con onestà, per “conquistare” con successo l’obiettivo fissato.

4)     Come è nata la sua passione per questo sport? E soprattutto quanti sacrifici ha dovuto affrontare prima del successo mondiale?

È nata quasi casualmente. In passato da bambino avevo cominciato a giocare, come tanti, a calcio. Poi, in fase adolescenziale, mi sono avvicinato al karate, per imparare a difendermi. Di qui, successivamente, il salto verso il mondo della kick boxing. Le prime vittorie in questa disciplina hanno chiuso il cerchio.

Tanti, tantissimi sono stati i sacrifici! Quasi da farmi venire le lacrime agli occhi, se ricordo quegli anni. Una persona comune spesso non immagina nemmeno le rinunce a cui un atleta è soggetto. Gli allenamenti sono giornalieri e non importa quanto dure siano state le ore trascorse al lavoro o se le condizioni atmosferiche siano proibitive. In certi casi, se per caso non andavo ad allenarmi, mi sentivo in colpa.

5)      La sua vita è un <<perché>> oppure un <<perché no?>>

Sicuramente un “perché no”! Parto sempre dal presupposto che non siamo tenuti a precluderci, a priori, di fare nuove esperienze.

6)      Lei lavora all’estero. Le manca qualcosa del suo Paese?

Beh, delicato rispondere a questa domanda. Diciamo che ci sono alcuni luoghi in cui sono stato per motivi di lavoro, in cui era difficile poter conciliare lavoro e tempo libero, o meglio, libertà individuale. Quando è avvenuto ciò, quello che mi mancava particolarmente, era proprio la mia libertà di movimento.

7)      Chiudendo gli occhi, quale è il ricordo più bello che ha della sua carriera sportiva, e quale il più brutto?

Il più bello è legato alla conquista del primo titolo, quello italiano. Non credevo di poter raggiungere quell’obiettivo, nonostante avessi lavorato sodo per preparare quel campionato. Ricordo che provai la sensazione di aver toccato il cielo con un dito.

Il più brutto, è rappresentato dall’unico “knock-out” subito nella mia carriera. Quel giorno avevo la febbre, ma il senso del dovere, mi fece comunque onorare la gara. Dieci secondi dopo il suono del “gong”, destro in faccia e mi trovai a terra!

8)      Quanto ritiene che la meditazione e lo studio della psicologia dell’avversario, abbia influito nella sua carriera sportiva? Oppure basta solo tecnica e forza fisica?

Lo studio dell’avversario, incide di più durante i primi incontri. In seguito, quando il livello professionistico cresce, è l’incidenza della tecnica e della forza fisica, a fare la differenza. Di base, per vincere una competizione, si deve sempre saper studiare il proprio avversario, cercando di scoprire rapidamente i suoi punti deboli.

9)      In Italia si vive in prevalenza di calcio. Quali consigli darebbe alla Federazione per invogliare le giovani leve ad avvicinarsi alla kick-boxing?

Questo sport prepara le persone, non solo a livello fisico. Tramite i sacrifici per chi vuole raggiungere determinati obiettivi, offre una grande lezione di vita, quale il rispetto degli altri e degli avversari. Volendo, può considerarsi un vero e proprio stile di vita, se si riesce a guardare oltre la “brutalità” della lotta. Basti pensare, in passato alla visione che si aveva del pugilato e della lotta (greco-romana) come “noble art”.

10)  È cambiato il suo modo di vedere l’Italia e gli italiani stando all’estero?

Direi di no. Ci sono sempre tante cose da fare nel nostro Paese. Di massima, la mia idea sugli italiani resta positiva. Anzi, quel che ho imparato ad apprezzare, prendendone maggiore coscienza, è la nostra capacità di esser presenti nel mondo con le nostre comunità, nonostante la nostra limitata estensione geografica.

Flaviano Di Franza