INTERVISTA – Simone Cristicchi: “L’Arte e la Musica mi hanno salvato la vita. Il nostro cinema è in forma, mi piacerebbe scrivere qualche soggetto”
Dopo aver parlato del suo Magazzino 18, continua la nostra chiacchierata con Simone Cristicchi, artista dotato di un grande dono: quello di raccontare. Raccontare attraverso una canzone o attraverso il suo Musical Civile. Cantando o recitando, riesce sempre a farci riflettere, portandoci altrove.
Qualche tempo fa si parlava di un possibile taglio di Storia dell’Arte nei licei. Tu cosa ne pensi? Quanto è importante l’Arte anche come educazione?
Sarebbe una cosa grave. L’Arte ha una funzione importante, quella di ingentilire gli animi. Se uno ha visto un bello spettacolo in teatro, visto un bel film o se si è commosso leggendo un libro, si sente sollevato, in pace con il mondo. Questo è il valore dell’Arte. Conoscere anche la Storia dell’Arte ovviamente porta ad avere una consapevolezza maggiore. I giovani di oggi…(si ferma e sorride ndr.)… forse saranno sempre più legati al computer e al calcolo.
Anche la Musica è una di quelle materie che a scuola è poco considerata…
La musica può salvare le vite, proprio come l’Arte. Arte e Musica salvano vite in continuazione: io stesso posso dire, quando ero piccolo, di aver salvato il mio equilibrio psicologico grazie alla Storia dell’Arte e grazie alla musica.
Quanto ti ha cambiato la vita il web?
Quando lessi il libro “Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani” scritto da Jan Bernas la prima cosa che mi venne in mente fu di contattare l’autore su Facebook. Lui , una volta letto il messaggio, mi rispose immediatamente: sicuramente internet ha il pregio di eliminare le distanze, una volta non era così facile comunicare.
Ti piacciono i social quindi?
Li uso abbastanza, Twitter mi piace molto. Soprattutto come fenomeno di aggregazione, specialmente quando c’è un evento in diretta da seguire e commentare. Trovo che i social siano delle piazze, proprio come quelle in città, che hanno come aggravante il fatto che ciascuno, utilizzando un nickname, può celare la propria identità, un meccanismo che trovo molto vigliacco. Ovviamente ognuno di noi può inventarsi il proprio alter ego, anch’io l’ho fatto in passato, mi chiamavo Ruphus e ai tempi facevo tutt’altre canzoni rispetto a quelle che poi sono state pubblicate.
La rete può essere anche un’opportunità per l’espressione artistica?
Il web è diventato fondamentale, più delle case discografiche. Le visualizzazioni delle canzoni su Youtube sono ormai il metro per misurare il successo di un artista. Internet aiuta tutti quei giovani emergenti che hanno bisogno di una platea, che hanno bisogno di farsi vedere. I social riescono a veicolare tutto questo e se c’è una cosa forte che piace nessuno la può fermare su internet.
Da romano: cosa pensi de La Grande Bellezza di Sorrentino che quest’anno ha vinto l’Oscar?
Trovo importante che un regista del calibro di Sorrentino abbia denunciato questo degrado in cui viviamo. Io preferisco però i piccoli centri della provincia, sono un nostalgico e chissà che in un’altra viva vivevo in campagna (sorride ndr). Mi piacciono quei piccoli paesi dove ritrovo un’umanità quasi intatta o comunque poco inquinata dalle dinamiche che si vivono in una metropoli o su internet. Se non ci fosse un Sorrentino a raccontarcelo molti non si renderebbero conto di quanto stia cambiando la società e quanto stiano cambiando i rapporti dentro ad essa.
Un regista che testimonia…
Proprio come un tempo avevano fatto Pasolini al cinema o Moravia in un libro. Il regista diventa un narratore che testimonia i cambiamenti di un’epoca. Ecco perché il film ha avuto così successo.
Cosa ne pensi del cinema italiano?
Un film che ho visto e che mi è piaciuto tantissimo è Il Capitale Umano, di Paolo Virzì che è il mio regista preferito. Anche quella è una storia agghiacciante sul degrado della società. In questo senso trovo che il nostro cinema sia in grandissima forma, ci sono autori che ogni volta mi stupiscono regalandomi delle visioni sulla realtà che mi fanno riflettere. Ci sono poi tantissimi film di intrattenimento in cui circolano sempre gli stessi attori. Senza rinnovamento. Spero che in futuro arrivi qualche nuova leva che possa rinverdire un po’ i cast di questi film…
In Dall’altra parte del cancello e Lettere dal manicomio sei stato diretto da Alberto Puliafito. Hai mai pensato di fare il regista di cinema?
Sì, ho ricevuto diverse proposte, per fare regista e attore contemporaneamente. Ma, non sentendomi ancora in grado di fare una cosa del genere, ho declinato queste proposte per il momento. Mi piacerebbe invece scrivere dei soggetti per un film.
E come attore?
Come attore non sarei capace di recitare con un altro attore (sorride ndr.). Infatti ho sempre portato in scena degli spettacolo in cui sono da solo. Non lo faccio per egocentrismo, ma perché sono nato e cresciuto con la narrazione, mi piace raccontare le storie e quindi sono diventato un attore monologante. Anche se io non mi reputo nemmeno un attore. In tutti i casi non credo di poter recitare in un gruppo di persone, non penso di esserne in grado. Poi chissà, magari tra qualche anno..! (sorride ndr.)
Hai avuto dei modelli di riferimento?
Sicuramente nel teatro di narrazione ho avuto dei predecessori illustri come Marco Paolini e Ascanio Celestini che hanno spianato la strada per le nuove generazioni. Ho seguito soprattutto il metodo di lavoro di Celestini che è quello di raccogliere l’oralità, ovvero il racconto orale. Anche se io ho fatto di più teatro di Evocazione, in cui l’attore racconta evocando delle immagini con la parola.
CAMERALOOK
Quello di Jack Nicholson in Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo: c’è un primo piano su di lui prima che si addormenti ubriaco, in quella sorta di orgia e di festa che fanno nel manicomio. Credo che sia una delle cose più belle che io abbia mai visto su uno schermo. Quello è stato un film che mi ha sconvolto la vita, il primo film che mi ha fatto sentire la rabbia nei confronti dell’istituzione e del sistema. È un film che ha cambiato diverse vite.
Intervista di Giacomo Aricò