La piaga sociale del bullismo – Profili Giuridici
LA PIAGA SOCIALE DEL BULLISMO – PROFILI GIURIDICI
Per bullismo o mobbing adolescenziale si intende una serie di atti violenti nell’ambito scolastico e/o sociale posti in essere dai giovani nel periodo pre-adolescenziale e adolescenziale (ovvero in quella fascia di età compresa tra i 10 e i 18 anni).
Si tratta di un fenomeno di prevaricazione che porta, nella sostanza, un soggetto a comportarsi in modo illecito verso un altro soggetto, tendenzialmente più debole (per condizione fisica, psicologica ecc..). Il bullismo viene tradizionalmente considerato un fenomeno orizzontale, perché si concreta nell’ambito di rapporti tra soggetti formalmente appartenenti al medesimo contesto relazionale e paritario (come nel caso, appunto, di compagni di scuola).
Il fenomeno del bullismo è stato assimilato a mobbing da una buona parte dei giuristi, e ciò in quanto in entrambi i casi si verifica una condotta lesiva ai danni di un soggetto più debole, con atteggiamento vessatorio e spesso con finalità emulativa (ovvero con la volontà intenzionale di danneggiare la vittima senza alcun vantaggio ragionevole o reale per sé).
In entrambe le fattispecie il soggetto più forte (il bullo o il datore di lavoro o il superiore) approfitta della sua posizione di forza, per danneggiare la parte debole.
Il fenomeno del bullismo, dal punto di vista giuridico, pone innanzitutto in essere significativi problemi di responsabilità civile (e quindi risarcitoria) in ordine alla culpa in educando (responsabilità del genitore del bullo per omessa educazione del proprio figlio) e talvolta della culpa in vigilando (responsabilità del docente che non è stato in grado di arginare il fenomeno, nei casi in cui l’atto di bullismo si verifica all’interno della scuola).
Per quanto di nostro stretto interesse, stante il dilagare, soprattutto nell’ultimo decennio, di quella che è ormai considerata una vera e propria “piaga” sociale, la giurisprudenza più recente si sta orientando nell’adottare la “linea dura” contro il bullismo, che si verifica in particolare tra i banchi di scuola, e ciò al fine di dare una risposta concreta a detto fenomeno antisociale, gravemente lesivo della dignità e della integrità fisica e morale delle vittime innocenti.n
Va dunque sfatato il mito della “impunibilità e/o della impunità” degli adolescenti.
Innazitutto è bene precisare che, se è pur vero che il nostro codice penale, a differenza di quello della stragrande maggioranza dei paesi europei ed extraeuropei, stabilisce all’art.97 che “non è imputabile il minore di anni 14”, è anche vero che, se il minore viene ritenuto “socialmente pericolo”, nei suoi confronti possono essere adottate dalla magistratura alcune misure di sicurezza quali il ricovero in riformatorio giudiziario, la libertà vigilata, gli arresti domiciliari e l’allontanamento dalla scuola.
La giurisprudenza in materia minorile è comunque orientata nel cercare di evitare il più possibile il riformatorio, e ciò in quanto viene ritenuta controproducente, ai fini del recupero del minore, la permanenza in carcere di quest’ultimo.
Nonostante questa doverosa premessa, il Tribunale dei minori, nei casi più gravi e laddove non ravveda alcun comportamento collaborativo da parte dei bulli e delle loro famiglie, e ove vi sia il pericolo della reiterazione del reato, tende a disporre la misura cautelare del carcere (leggasi riformatorio minorile) anche preventivo, qulora ritenga inadeguate le misure cautelari più blande (quali il domicilio coatto, l’allontanamento da scuola ecc..).
In tal senso si è espressa, fra le altre, la quarta sezione della Cassazione Penale con la sentenza n.19331/2005, nell’ambito della quale la Corte ha ritenuto, ad esempio, che il collocamento in comunità in attesa del processo costituiva una misura cautelare troppo blanda per gli studenti che, accusati di gravi episodi di violenza ai danni di compagni di classe più deboli, perseveravano nella loro cattiva condotta anche dopo che le indagini erano già iniziate. Per tale ragione la Corte Suprema ha ritenuto che il Tribunale minorile non può escludere l’applicazione del carcere preventivo, allorquando le altre misure cautelari non appaiono idonee a “redimere” il giovane bullo.
A detto recente orientamento si è mostrato decisamente contrario il Presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori, il quale reputa che “la parola è l’unica strategia pedagocica per fare riflettere un soggetto, in età evolutiva, che sbaglia, sull’errore commesso”.
Ad avviso di chi scrive, prima di accusare la magistratura di essere troppo rigida, sarebbe opportuno rendersi conto del fatto che sia il Tribunale dei minori, sia la Corte di legittimità, prima di arrivare ad una pesante condanna, quale è il carcere preventivo per un minorenne, cercano sempre e comunque di percorrere tutte le strade possibili, nel tentativo, appunto, di recuperare socialmente il bullo; ma ciò non sempre è possibile. Inoltre, non bisognerebbe mai dimenticare che, in primis, i diritti più meritevoli di tutela non possono che essere quelli “violati” dei minori rimasti vittime di questo gravissimo fenomeno antisociale.
Avv. Claudia Comi
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