Milano Film Festival, moderno, social-e a caccia del talento: intervista a Vincenzo Rossini
Si concluderà questa domenica la 19esima edizione del Milano Film Festival (4-14 settembre), la rassegna diretta da Vincenzo Rossini e Alessandro Beretta nato nel 1995. Undici giorni per vivere il cinema all’aperto, attraverso la proposta di titoli provenienti da tutto il mondo che possano distinguersi per nuovi linguaggi e contenuti. Sempre alla ricerca di nuovi talenti in ambito italiano e internazionale, il MFF promuove un cinema universale aperto a tutti: un dialogo continuo tra pubblico, studenti, registi, festival, case di produzione e distribuzione internazionali e scuole di cinema.
In attesa della prossima edizione, la Ventesima, abbiamo intervistato uno dei due direttori del Festival, Vincenzo Rossini.
Il cuore del MFF è il teatro Strehler, ma in questi anni vi siete ampliati, scegliendo per le proiezioni anche sale storiche come quelle del Cinema Ariosto, della Sala Rosetum, del Cinema San Fedele e magari, un domani, riaprirete anche le sale dei cinema chiusi. Qual è l’intento del Milano Film Festival e a chi si rivolge?
L’idea portante del MFF è sempre stata quella di far convergere la promozione del cinema dei talenti e le nuove forme dell’immaginario visivo con l’apertura della città alla fruizione cinematografica. Un’idea che è sempre stata ben rappresentata, ad esempio, dalle proiezioni al Parco Sempione notturne, alle quali abbiamo voluto affiancare l’ingresso nelle sale che maggiormente hanno riservato attenzione al cinema d’autore. Ci viene chiesto spesso se questo sia più un festival di cinema o un grande evento: per noi la sfida è proprio creare una forma di equilibrio tra le due componenti, portando il cinema di ricerca a un pubblico che non è semplicemente una ‘nicchia’. E per questo obiettivo è fondamentale proprio l’uso di location così diverse tra loro.
Da Cannes a Toronto, passando per i riconoscimenti italiani di Teormina, Venezia e Roma. In che cosa si differenzia il Milano Film Festival rispetto agli altri e invece quale caratteristica lo rende internazionale?
Questo è sempre stato un festival senza tappeti rossi, zone vip o feste private. E non solo per le sue risorse più contenute, ma perché è nella scelta editoriale abbattere le barriere tra chi il cinema lo produce e chi lo vive (e fa vivere) in sala. Se dovessi indicare una peculiarità di Milano Film Festival, è proprio nella capacità di creare legami informali ma duraturi con i nostri ospiti: in passato molti registi che abbiamo ‘scoperto’, proiettando i loro corti d’esordio, sono poi diventati grandi nomi nell’olimpo internazionale del cinema d’autore, rinforzando proprio la dimensione internazionale del MFF. Senza contare il forte lavoro che svolgiamo tutto l’anno con le scuole di cinema mondiali, gli istituti di promozione cinematografica, le associazioni.
Il vostro festival non è solo cinema, ma comprende diverse attività collaterali. Lo possiamo sicuramente definire moderno ma sicuramente social. Che significato volete dare (o forse insegnare) al “cinema” e a chi ne è appassionato?
La dimensione ‘da evento’ del MFF è fondamentale per permettere ai film di godere di maggior visibilità e al pubblico di vivere questi 11 giorni come una vera e propria festa. E’ così che ci piace immaginare un festival di cinema: aperto a concerti musicali, dj set, performance, laboratori, eventi paralleli. Un puzzle composito in cui ogni pezzo alimenta l’altro, sicuramente ‘social’.
Dal Milano Film Festival alla Mostra del Cinema di Venezia che si è da poco conclusa. Che cosa pensa di questa 71esima edizione?
Data la vicinanza delle date, viviamo ogni anno la Mostra del Cinema di Venezia semplicemente leggendo le notizie sui giornali, quindi non abbiamo molti elementi per esprimere un giudizio. Ciò che sicuramente ci può far piacere è che Venezia, come molti altri festival ‘leader’ nel mondo, stanno integrando sempre di più all’interno dei loro programmi alcune scelte di selezione che noi sentiamo necessarie fin dai nostri esordi. Basti pensare ai due importanti premi a Rosi e Oppenheimer, autori di documentari, che hanno risvegliato l’interesse per questa forma anche al di fuori del circuito cinefilo più stretto, andando in qualche modo a confermare la grande attività dei festival di cinema più ‘indipendenti’, che davvero sono sempre stati grandi promotori del documentario (da noi, ad esempio, nelle ultime 5 edizioni ci sono stati 3 documentari vincitori).
Intervista di Giacomo Aricò