Ode al bignè
Tutte le mattine lo stesso percorso. Giornalaio, treno, ed infine bar accanto all’ufficio. Ci si ritrova con i colleghi per un caffè e due chiacchiere prima di sedersi dietro alle rispettive scrivanie. Il caffè.
Quello che dovrebbe essere un momento di piacere e di socializzazione è in realtà solo la prima di una serie di rinunce quotidiane. Eh si, perchè quando per colazione si vorrebbe prendere cappuccino e cornetto (meglio ancora ciambella o bignè) e ci si deve invece accontentare di un caffè striminzito e per di più addolcito (si fa per dire) solo con l’aspartame, capite bene che c’è poco da stare allegri. Direte voi, ma chi l’ha detto che devi accontentarti? Quella strega della bilancia!! In combutta con messer stregone, altrimenti detto medico dietologo.
Ma dico io, si può essere più insensibili di così? Giusto il dentista non teme confronti, essendo universalmente riconosciuto come torturatore legalizzato. E così noi povere mortali, colpevoli di amare i piccoli piaceri della vita, le poche gioie e soddisfazioni che è possibile concedersi a un ragionevole prezzo, siamo messe al bando in questa società di longilinee ed eteree modelle, contrassegnate con tanto di lettera scarlatta.
La C di cicciona, naturalmente. E ci incantiamo come in trance davanti alla vetrina di una pasticceria, guidate da un invisibile filo di fumo aromatizzato. Per tacere del paradisiaco odore di cornetti appena sfornati. Che tortura! Mio adorato bignè, che mi fissi tentatore dalla vetrina, messo in bella posa dal caro pasticcere, guarnito con glasse colorate o ripieno di deliziose creme, come posso resistere al tuo dolce richiamo? Più del canto delle sirene vale per me il tuo aroma.
T’amo di un indicibile amore. Estasi pura è per me il tuo sapore, cibo insostituibile per l’anima mia. Come quando scruti di continuo lo schermo del cellulare, in attesa di un messaggio che non arriva e mai ammetteresti che se la letterina non lampeggia, è segno di una precisa volontà. La volontà! Sempre lo stregone di cui sopra, oltre a toglierti zuccheri, grassi e ogni ben di dio, non potrebbe elargirti un po’ di forza di volontà in pillole? Come uscire dal mantra nontimangio-nontidevomangiare?.
Si potrebbe forse iniziare con l’evitare certe soste, direte voi, studiare percorsi alternativi al fine di evitare ogni lusinga. Ma già che non è dato deliziare il palato, non ci si può almeno appagare la vista? Con fare temerario, ci si inventa dunque una sorta di tortura autoinflitta. Come sanno tutti coloro che hanno un problema di dipendenza, da qualsivoglia sostanza, ci si illude di poter smettere in qualsiasi momento e, anzi, si scommette addirittura sulla forza del proprio autocontrollo. Quindi, se il fumatore incallito si ostina a tenere in tasca pacchetto ed accendino, o arriva perfino a giocherellare con la sigaretta o a tenerla tra le labbra, che tanto lui non la accenderà, allo stesso modo l’inguaribile golosa afferma di poter ignorare il malefico effetto di un incontro davvero troppo ravvicinato con l’amato bene.
Con errata convinzione, varca la soglia dell’impero dei sensi e raggiunge il bancone. Impiega quindi un tempo infinito a decidere quale sia l’odierno suo oggetto del desiderio, e lascia infine quel paradiso terrestre con un minuscolo pacchetto infiocchettato, più prezioso finanche di quelli rilasciati dall’attiguo gioielliere. Giunge alfine alla sua scrivania e pone l’agognata confezione in bella vista, tra il telefono e la tastiera del computer.
Si spande immantinente una paradisiaca fragranza. Da quando in qua i buoni odori fanno ingrassare? Tutt’al più mettono di buonumore. Ma, come diceva Pavlov, in breve si risveglia l’acquolina. Tanto non ti mangio, non ci provare. Anzi, sai che faccio? Voglio proprio guardarti in faccia, caro il mio bignè, così vedrai se non ti resisto! Ma che volete, quando si è davanti al proprio amore non è mica facile tenere il punto. Dunque lo spoglia con fare tremante, sfiorandone lieve gli orpelli, tutta rabbrividendo. Ed infine, eccolo lì in tutto il suo splendore, roseo (ha scelto alfine quello glassato), morbido, profumato. Vabbè, posso almeno annusarti. Dio che tortura!
Vorrei almeno baciarti dolcemente. Giuro, non mordo. Dio, che meraviglia. E se ti carezzassi almeno? Che almeno le mie labbra possano sfiorarti. Così pensando, ecco che cede al contatto. Che musica celestiale! Per questo vale la pena vivere. Prometto, non sentirai i miei denti su di te. Oddio, toglietemelo dalle mani o non rispondo più di me. Amore non posso, non resisto, aiutami!
Giunge in soccorso l’odiato trillo del telefono. Mancava tanto così. Ancora un attimo e avrebbe commesso l’irreparabile.
Parla, parla, ma la mente è sempre lì. A fine conversazione, riappende la cornetta e chiama la collega. Puoi sostituirmi un attimo? Ho bisogno di sciacquarmi il viso. Ma che hai? Sei pallida. Non ti senti bene? Veramente non tanto. Puoi farmi una cortesia? Puoi farlo sparire? Per favore. Detto, fatto. Un sol boccone e il bignè è andato.
Perdonami, amore.
di Donatella Mecucci