Quanto la fede puo’ aiutare a superare una malattia
QUANTO LA FEDE PUÒ AIUTARE A SUPERARE O AFFRONTARE UNA MALATTIA
Da sempre ci si chiede se la fede possa avere il potere di lenire, un forte dolore non solo spirituale ma anche fisico, se abbia la capacità di favorire una guarigione o la sopportazione di un iter terapeutico nella sconfitta di una malattia.
Nel 1998, uno studio condotto dalla Duke University di Durham prese in esame lo stato di salute di persone dai 65 anni in su, esaminate tra il 1986 ed il 1993. Secondo gli autori dello studio chi frequentava regolarmente i luoghi di culto, pregava e leggeva testi sacri presentava valori della pressione sanguigna nettamente più bassi di chi non era praticante.
Riscontrando come gli alterati livelli di pressione arteriosa siano i principali responsabili di problematiche future complesse come: ictus o infarti o diabete, si intuisce facilmente come una scoperta di questo tipo possa apportare numerosi benefici. Dallo studio risultava inoltre che non vi erano differenze in base al tipo di religione professata.
Attualmente uno dei massimi scienziati a occuparsi della questione è stato ed è Herbert Benson della Harvard University Medical School che ha studiato gli effetti della meditazione sulla pressione arteriosa, sull’equilibrio metabolico e sull’apparato respiratorio, le cui ricerche sembrano confermare le intuizioni precedenti documentando che i pazienti ricoverati in Unità coronaria, a causa di un infarto, sorretti da una fede forte, arriverebbero allo step della convalescenza in tempi più rapidi di chi non professa alcun credo.
Perché la fede potrebbe avere un ruolo così importante nel determinare un benessere psicofisico percepito nella malattia? Qualche ricercatore sostiene che il sistema nervoso sarebbe in comunicazione col sistema immunitario e in questo senso la meditazione e la preghiera potrebbero essere armi in più contro le malattie nella lotta per la guarigione. La meditazione sembra provocare delle modifiche strutturali nel cervello.
E’ la conclusione alla quale sono giunti i ricercatori del MGH che hanno monitorato 16 persone che avevano partecipato a sedute di meditazione per otto settimane. I ricercatori hanno analizzato il cervello dei soggetti eseguendo delle risonanze magnetiche prima e dopo la meditazione e hanno scoperto che emergevano dei cambiamenti nelle zone cerebrali collegate alla memoria, all’empatia, al senso di sé e allo stress.
Lo studio, apparso sulle pagine della rivista Psychiatry Research, è il primo che dimostra l’esistenza di un collegamento tra meditazione e i cambiamenti nella materia grigia. I ricercatori hanno concluso che nelle persone che avevano praticato la meditazione si registrava un aumento della densità dell’ippocampo, dove risiedono importanti funzioni legate alla memoria e alla conoscenza, e anche in altre zone cerebrali legate all’empatia e all’introspezione; inoltre si registrava una diminuzione dello stress e un calo della densità della materia grigia dell’amigdala.
Meditazione e preghiera infatti hanno in comune le modalità rituali con cui avvengono: la capacità intrinseca di attivare una attenzione focalizzata che permettere di distogliere l’attenzione verso il dolore, la paura, canalizzando e attivando le risorse positive, riducendo i livelli di ansia, stress diminuendo al contempo significativamente le possibilità di caduta in episodi depressivi.
Il credere aiuterebbe non solo a trovare un senso nella malattia ma farebbe sentire inoltre parte integrante dell’universo con benefici effetti sulla qualità della vita stessa. Una forte concentrazione può avere correlati biologici neurologici importanti. In questo senso la fede darebbe speranza e in questo misticismo risiederebbe il segreto del possibile correlato biologico.
La Psicologa Jeny Meregaglia