SPECIALE MAZZACURATI – Intervista a Marco Pettenello: “Carlo mi ha insegnato tutto quello che so fare, trasmettendomi la voglia di creare qualcosa di bello”
Dopo il ricordo di Mazzacurati che ci ha regalato Valerio Mastandrea, abbiamo deciso di intervistare lo sceneggiatore Marco Pettenello che professionalmente è cresciuto proprio insieme a Carlo Mazzacurati. Oltre al suo ultimo film – da stasera al cinema – La Sedia della Felicità, con il regista scomparso prematuramente lo scorso gennaio ha scritto anche La Lingua del Santo (2000), La Giusta Distanza (2007) e La Passione (2010).
Da La Lingua del Santo a La Sedia della Felicità: cosa le hanno lasciato a livello professionale tutte le sue collaborazioni con Carlo Mazzacurati regista?
Praticamente tutto quello che so fare. E non ci sono solo questi film fatti e finiti, ma anche molte altre storie a cui abbiamo lavorato senza che vedessero la luce, e poi un sacco di tempo passato insieme a non fare niente, parlare, nuotare, guardare film, che forse è stato il più bello.
A livello umano, che persona era Carlo? Qual è stato l’insegnamento più grande che le ha dato?
Difficile isolare una cosa sola. In generale, avere un punto di riferimento intellettuale è una cosa molto utile, qualcuno che ti aiuti a impiegare bene il tuo tempo, che ti avverta in anticipo per esempio che i 49 racconti di Hemingway sono una meraviglia mentre non so, Di là del fiume tra gli alberi è a tratti un po’ palloso. Poi mi ha trasmesso l’orgoglio di fare qualcosa di bello, in cui riconoscersi, pensando sempre che il pubblico sia fatto di persone come noi e non di sprovveduti a cui rifilare merce scadente.
Ci può raccontare un suo aneddoto?
Anni fa con Carlo eravamo andati a sentire suonare De André. Era uno degli ultimi concerti che faceva, conosceva Carlo e a un certo punto, tra una canzone e l’altra l’ha salutato e gli ha augurato buona fortuna “per la battaglia che combatte sul campo del cinema, che forse è anche più difficile del mio“, poi ha attaccato un canzone, credo fosse Fiume Sand Creek. “Bene, bello“, pensavo io, “ma di che battaglia state parlando? Fate due mestieri stupendi, non la farei tanto grave“. Carlo stesso non diceva mai cose così altisonanti. A distanza di anni però sono contento di potermi nutrire ogni tanto dell’energia di quel ricordo, parole forse un po’ retoriche, ma che mi aiutano a ricordarmi che mi devo impegnare. Forse perché sono molto pigro e ho bisogno di motivazioni forti per alzarmi dal letto.
La Sedia della Felicità, un cast di attori eccezionali, un modo di dirsi addio con un sorriso. Di che film si tratta? Come e quando è nata la vostra idea?
L’idea l’ha avuta Carlo a partire da un vecchio romanzo russo, Le Dodici Sedie, da cui sono già stati fatti diversi film, uno di Mel Brooks, un altro credo a Cuba, un paio in Russia, uno in Italia: è una specie di canone, o standard come si direbbe nel jazz, che abbiamo interpretato a modo nostro. E’ un film che parla di un mondo in difficoltà, di gente preoccupata, disorientata, ma lo fa con una specie di gioia del raccontare e con simpatia per il genere umano e per le fatiche dello stare al mondo. Insieme a Doriana Leondeff ci stavamo già lavorando quando Carlo ha scoperto di non stare bene e in nessun momento abbiamo pensato che sarebbe stato il suo ultimo film. Invece lo è stato, e guardando adesso al suo cammino di regista mi piace molto che sia finito con un film così spensierato, il più allegro di tutti.
Tra tutti i film di Mazzacurati, qual è quello a cui lei è più affezionato e perché?
Ho rivisto ultimamente Un’Altra Vita e mi è sembrato magnifico. Tengo molto a La Lingua del Santo perché è il primo film a cui ho lavorato, a La Sedia della Felicità perché è l’ultimo, La Giusta Distanza è forse quello per cui ricevo più complimenti, La Passione quello che forse assomiglia di più a come eravamo noi, demenziali e sentimentali al tempo stesso. Ma la risposta sincera è purtroppo la più noiosa di tutte: sono affezionato a tutti i suoi film, quelli che abbiamo fatto insieme e anche quelli in cui non c’ero.
Intervista di Giacomo Aricò